E' un pianto zittito e senza verve:
nessuna lacrima, non una parola di troppo.
Poi quell'ultimo respiro che serve

come formale distinzione tra il dopo
e il prima, tra chi è di queste terre
e chi s'invola, e scappa via come un topo.

Il medesimo definitivo terrore si declina in altre paure
più piccole, usuali, più accettabili nelle ore
di ogni giorno. Ma non meno scure

nella foggia, abbigliate dello stesso colore
ma di micronica dimensione, di facile allure:
sono i presagi che salgono nelle sere

d'estate, gli avvertimenti dell'aria madida,
delle strade svuotate e l'insieme di lune ceree
da decifrare. Cercando simboli e spade

si finisce a camminare verso il fiume per
il marciapiede sottile di Strada Nuova
di fronte alle serrande abbassate e le vaghe

notizie dei quotidiani locali fuori le edicole
chiuse sprangate. Della città dalle finestre
non passano per le zanzariere i “Dottore, le dico...”

di un paziente-frittata per strada che zufola lacustre.
Travestito da tedesco in vacanza, scansa le ruspe. Rapito
rallenta per soppesare una radiografica luna tra le nubi.

Uno sbadiglio nascosto dietro la mano
invade la strada di evidentissimo umano.