Il gruppo H5N1 nasce nell'ottobre 2005 dall'idea di due studenti di medicina di Pavia e ha avuto il fine di diffondere la poesia sui muri delle città italiane. L'idea è derivata da un articolo di giornale ("La Repubblica", 23 ottobre 2005) riguardante l'iniziativa promossa da Asl 10, Istituto Statale d'Arte di Firenze e Gabinetto Viesseux di trasformare l'Ospedale Santa Maria Annunziata in un ospedale poetico, introducendo la poesia nei reparti di degenza.
La prima "poesia di strada" di cui si hanno tracce sembra risalire al I secolo d.C. (Pompei). Sembra costituire, quella dello scrivere versi sui muri, una necessità, una prospettiva, una pratica quasi ovvia, che ritorna ciclicamente lungo i secoli, multicentrica e contingente, assumendo via via significati profondamente diversi. Nel XX secolo, secolo di muri e di streetart, questo mezzo di diffusione della poesia si è declinato in decine di esperienze differenti, spontanee o istituzionalizzate, occasionali o parte di progetti continui nel tempo.
Il riferimento cinematografico principale della "poesia di strada" è il film "Forza Cani" (2002) della regista milanese Marina Spada, con cui il gruppo H5N1 ha collaborato nella realizzazione del cine-documentario "Poesia che mi guardi" (2009) sulla poetessa milanese Antonia Pozzi. Tale opera è stata presentata fuori concorso alla Mostra Cinematografica di Venezia 2009, Giornate degli Autori. "Poesia che mi guardi" analizza il ruolo dell’artista e, in particolare, del poeta all'interno della società di allora e di oggi, tracciando paralleli tra l'isolamento culturale di cui era stata vittima la Pozzi e l'efficacia comunicativa ribelle e pandemica degli H5N1, interpretati nel film da tre giovani attori milanesi.
Le città coinvolte dal gruppo H5N1 sono state decine, soprattutto nel nord Italia. Si contano migliaia di poesie diffuse in differenti formati di stampa (A6-A0): la maggior parte dei testi affissi è opera di tre autori e componenti del gruppo, ma non è raro incontrare sui muri opere di scrittori noti, "rubate" ai libri e regalate alla strada.
La poetica del gruppo aspira alla descrizione dei tempi e degli spazi cittadini, riappropriandosene al tempo stesso grazie alla presenza fisica nei luoghi della città. L'io del poeta è volutamente occultato perché non essenziale allo scopo.
Il gruppo H5N1 non ha mai derivato profitto personale dalla vendita o distribuzione della propria opera né da progetti derivati (installazioni, mostre, reading poetici, conferenze, corsi di poesia, collaborazioni).
Il libro "Poesia d'amuro" (Edizioni OMP, 2008) ha raccolto alcuni testi comparsi sui muri dal 2005 al 2007 e ha sostenuto con gli introiti derivati dalla vendita il progetto no profit dell'Associazione OMP (Officina Multimediale Pavese).
Il gruppo H5N1 ha non-ufficialmente cessato la sua attività nel 2011, dedicandosi i suoi componenti ad altri progetti.
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«E’ prevedibile che ci sia oggi chi sente il bisogno d’affermare le sue ragioni conculcate scrivendole sui muri con la bombola spray, il giorno in cui avrà il potere continuerà ad aver bisogno dei muri per giustificarlo, in epigrafi marmoree o bronzee o in altri strumenti dell’imbottimento dei crani. Questo mio discorso non vale per le scritte di protesta sotto i regimi di oppressione, perché lì è l’assenza della parola libera l’elemento dominante anche nell’aspetto visivo della città, e lo scrivente clandestino colma questo silenzio a tutto suo rischio, e anche lì leggerlo è in qualche misura un rischio, e impone una scelta morale. E così pure farei delle eccezioni alla mia questione di principio per i casi in cui la scritta è spiritosa o quando è tale da muovere una riflessione illuminante o una suggestione poetica, o rappresenta qualcosa di originale come forma grafica: perché il recepirne il valore, di pensiero o umoristico o poetico o estetico-visivo, implica una operazione non passiva, una interpretazione o decrittazione, insomma una collaborazione del ricevente che se ne appropria attraverso un sia pur istantaneo lavoro mentale. Ma dove la scritta è una nuda affermazione o negazione che richiede dal leggente soltanto un atto di consenso o di rifiuto, l’impatto della coercizione a leggere è più forte delle potenzialità messe in moto dall’operazione con cui ogni volta riusciamo a ristabilire la nostra libertà interiore di fronte all’aggressione verbale. Tutto si perde nel frastuono del bombardamento neuro-ideologico a cui sono sottoposti i nostri cervelli da mattina a sera. E’ la presenza della scrittura, le potenzialità del suo uso vario e continuo che la città deve trasmettere, non la prevaricazione delle sue manifestazioni effettuali: la città ideale è quella su cui aleggia un pulviscolo di scrittura che non si sedimenta né si calcifica. Ma i poveri muri delle città italiane non sono diventati anch’essi ormai che una stratificazione d’arabeschi e ideogrammi e geroglifici sovrapposti, tali da non trasmettere altro messaggio che l’insoddisfazione d’ogni parola e il rimpianto per le energie che si sprecano? Anche su di essi forse la scrittura ritrova il posto che è insostituibilmente suo, quando rinuncia a farsi strumento di arroganza e di sopraffazione: un brusio cui occorre tendere l’orecchio con attenzione e pazienza fino a poter distinguere il suono raro e sommesso d’una parola che almeno per un momento è vera.»
Italo Calvino, La città scritta: epigrafi e graffiti, in "Collezione di Sabbia", Milano, Mondadori, 1974.
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«Il vero poeta moderno dovrebbe scrivere sui muri, per le vie, le proprie sensazioni e impressioni, fra l'indifferenza o l'attenzione dei passanti.»
Aldo Palazzeschi, Spazzatura, in «Lacerba», 28 febbraio 1915, ora in Scrittori italiani di aforismi, a cura di Gino Ruozzi, Milano, Arnoldo Mondadori, 1994.
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La nostra città: Graffiti
Da dove sbuca questa lingua fetale,
con i suoi guizzanti caratteri
alfanumerici?
Chi parla l'interlingua-spray
dai muri, dai tram, dai citofoni?
Cosa cerca di dire
questa citofonata lingua
che dal basso chiama?
Valerio Magrelli, Didascalie per la lettura di un giornale, Torino, Einaudi, 1999.
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«Dereto dallo coro, nello muro, fece ficcare una granne e mannifica tavola de metallo con lettere antique scritta, la quale nullo sapeva leiere né interpretare, se non solo esso. Intorno a quella tavola fece pegnere figure, como lo senato romano concedeva la autoritate a Vespasiano imperatore. [...] »
Anonimo, Cronica: vita di Cola di Rienzo, 1358.
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«La ciudad es un poema de versos interminables como sus calles.»
Armando Alanís Pulido, Acciòn Poetica.
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«La "scrittura di strada e di piazza" di Roma antica - la scrittura non delle epigrafi pubbliche e private destinate a durare in un contesto concettualmente imperituro, ma la scrittura spontanea graffita tracciata a carbone o dipinta, che fermava sui muri pensieri, emozioni, messaggi, parole salaci, sfoghi occasionali o effimeri - non è finora entrata nella rappresentazione della civiltà romana. Pure, quella scrittura ora frantumata, sbiadita, consunta dai secoli o dalle intemperie un tempo "esponeva" le sue parole discrete e sfacciate, vereconde e oscene, accattivanti e aggressive, dolci e furenti nelle "strade dei vivi", nei fori, lungo gli intonaci affacciati delle case, sui colonnati dei cortili; e non solo negli spazi urbani aperti, ma anche negli interni domestici, negli edifici pubblici, nei locali delle scuole, nelle osterie e nei lupanari le pareti accoglievano e rimandavano scritte.»
Graffiti latini, a cura di Luca Canali e Guglielmo Cavallo, BUR Rizzoli, 2008.
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Un ber gusto romano
Tutta la nostra gran soddisfazzione
de noantri quann’èrimo regazzi
era a le case nove e a li palazzi
de sporcajje li muri cor carbone.
Qua disegnàmio o zìffere o pupazzi,
o er nodo de Cordiano e Salamone;
là nummeri e giucate d’astrazzione,
o parolacce, o fiche uperte e cazzi.
Oppure co un bastone, o un sasso, o un chiodo
fàmio a l’arricciatura quarche segno
fonno, in magnera ch’arivassi ar sodo.
Quelle so’ bell’età, per dio de legno!
Sibbè ch’adesso puro me la godo,
e si c’è un muro bianco je lo sfregno.
Giuseppe Gioachino Belli, Sonetto del 22 giugno 1834.
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«[...] Chi ha fatto un bel quadro, chi scrive sui muri [...]»
Rino Gaetano, Ma il cielo è sempre più blu.
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Il mio goffo poema sul muro della locanda
nessuno finora s'era curato di leggere.
Muschio e tracce d'uccelli ne avevano cancellato i caratteri.
Poi giunse un avventore dal cuore così traboccante,
il quale, benché fosse Paggio al trono dell'Imperatore,
si degnò con un lembo del suo ricamato mantello
di spazzar via la polvere, e di leggere.
Po Chu-i (Cina, 800 circa)
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Il ritorno è mistero. | Ma quando ritorna | quando ritorna | è così bello | da impazzire.
Ferruccio Brugnaro
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«Le futur n'est plus ce qu'il était»
«Il futuro non è più quello di una volta»
Paul Valery, Regards sur le monde actuel, 1931.