I CONTEMPORANEI
(o Del deserto)
Per chi
nonostante tutto
ancora
cerca
gli altri
“Beppe, ho paura”
(Laura, www.beppegrillo.it)
In un giorno lucido di sebo
camminando in pieno centro
ho fatto esperienza del deserto:
dal cielo in giacca scura
il nero si innervava nell’asfalto
in un rivolo di crepe;
nel silenzio opprimente e puro
ho visto, finalmente,
chi mi stava attorno.
Non un sogno,
non un’allucinazione da insonne:
il rosso dei semafori ticchettava
con agghiacciante metodicità
nella secca consistenza della sabbia;
il freddo non si contorceva affatto
attorno ai cappottini di pelle
per cani.
E non ero solo:
tante ombre, steli in cerca di
corolle, senza averne forza,
e ogni faccia era come
avvolta da un acquario
suoni e pensieri filtravano e in quel vuoto
denso tutto veniva distorto
sorrisi al botulino
biascicavano parole sullo stato
della nazione o del campionato;
ma io vedevo
vedevo nell’aria grida
di aiuto e rabbia
schiantarsi come sirene
a pochi centimetri
dalle loro anime.
E sotto i vestiti diesel
e i curriculum vitae
vedevo la carne in putrefazione
impregnata di CK,
e ossa in bella mostra indossare orologi
e tatuaggi, e pensavo
è il regno dei morti
firmato coca-cola.
E invece era solo
il deserto.
Non capivo cosa avesse rotto
la mia boccia
ma non avevo paura
delle dune che il vento gonfiava
del sole che non esplodeva
in ossequio agli sterpi
non temevo il deserto, no
ma lo stacco straziante
tra questo e
la sciarpa di silenzio
in cui loro si strozzavano:
mi chiedevo
cosa vedono i loro occhi?
cosa negli occhi dei muri
cosa vedono nei miei occhi?
la luce vi conficca la stessa tonalità di rosso?
la loro acqua è ancora trasparente?
cosa cercano per strada
l’asfalto
o il punto che buca l’orizzonte?
E io provavo a gridare
dalla mia boccia rotta
agitavo le mani come
un naufrago nel vuoto
ma ogni tentativo si infrangeva
in loro con frastuono di foglia
distrutta, e intanto io
sgranulavo nella sabbia.
E intanto loro ridevano
perché l’amore è zelig
la morte è zelig
ridevano ingabbiati;
e intanto un ragazzo veniva licenziato
con un sms
un altro si laureava ma senza la stima del padre,
un uomo agganciava una trave
a trenta metri di altezza
(dalla finestra quattro professori
discettando di immigrazione)
qualcuno decideva di nascere
qualcun altro si inchinava
per pregare
o per raccogliere un sacchetto.
E mi chiedevo
io, vedendoli così diversi
mi chiedevo, sentendoli così
irraggiungibili
se soffriamo il deserto allo stesso modo
chi sbaglia, mi chiedevo
chi ignora il cielo
o chi in esso vede
solo un punto di partenza?
Poi tutto sfumò
il deserto disgregò in granelli grigi
e tutti lo respiravamo
l’asfalto tornò incandescente
di vetrine e occhi
le solitudini tornarono a
sfiorarsi come ogni giorno
nei supermercati negli uffici
nei silenzi e nelle strade festonate di fumo.
Non lo vedevo più, il deserto,
ora c’erano solo loro
ma lo so, lo sento, il deserto
l’abbiamo respirato, io e loro
lo respiriamo
e già si annida negli alveoli
già scivola tra le camere del cuore
e le ombre cerebrali
il deserto
a volte scivola
negli occhi
il deserto.
Ma ora ci sono loro,
solo loro.
Il deserto.