Cammino.
Cammino.
Cammino.
In questa notte
di tempesta finita
sento le onde
che si incrinano
come gusci di noce.
Cammino.
Cammino.
Rimane il ricordo
di mari e muri dipinti
con in mezzo
la spiaggia sommersa.
Cammino.
Mi bagno i piedi.
E’ freddo.
Cammino.
Cammino.
Cammino.
L’acqua arriva
in ritardo sul suono
delle onde inciampate.
Cammino.
Cammino.
Cammino.
Cammino
sull’acqua
divino.
L’acqua del colore
del sangue o del vino,
neraccia e collosa
come una sposina
lasciata all’altare
col trucco che cola.
Cammino.
Cammino.
Che meraviglia
le onde nel buio,
le case di notte,
le foglie di palma
rotte dal vento:
sfilacciate e molliccie
si incastrano
dentro ai tombini.
Cammino.
Cammino.
Sette bambini
sopra una panchina
gonfi e accatastati.
Cammino.
Assomigliavano
(a ripensarci)
ad un grosso panino.
Cammino.
Cammino.
Cammino.
Com’è strano
questo buio dolcissimo
che sa del perdono
dopo un litigio.
Cammino.
Cammino.
Cammino.
Cammino.
Mi fermo.
Mi siedo sul bordo
di un tetto,
appoggio laceri i piedi
sulla sabbia indecisa
e immagino l’alba.

Scorgo una televisione
che galleggia e scompare
nel mare.