il testo del reading
@ PAC - giovedì 29 marzo 2007

IL MURO: UN READING VIDEOMUSICALE

leggono
Maria Parigi
Enrico Bacciardi

commento musicale a cura di
Michele Branzoli (flauto traverso)
Elvis Ghibello (contrabbasso)

materiali video
Davide Bonaldo
Alice Podavini


(su schermo nero)

“La città ideale è quella su cui aleggia un pulviscolo di scrittura che non si sedimenta nè si calcifica.

Sui muri, forse, la scrittura ritrova il posto che è insostituibilmente suo, quando rinuncia a farsi strumento di arroganza e di sopraffazione: un brusìo cui occorre tendere l’orecchio con attenzione e pazienza fino a poter distiguere il suono raro e sommesso d’una parola che almeno per un momento è vera.”

(Italo Calvino – “La città scritta: epigrafi e graffiti” in “Collezione di Sabbia”, 1974)


(immagini)

1. MOMENTO, MOMENTO! (si ferma la musica) Ma che cos’è un muro? (ricomincia la musica). Il muro è la struttura edilizia in cui le dimensioni dell’altezza e della lunghezza prevalgono rispetto allo spessore. Il muro è schiacciato nel vocabolario della lingua italiana da pettegolezzi polmonari, i murmuri, e da una pietra semipreziosa di colore lattescente, la murra. Per reagire a tale bizzarra compressione, il muro acquisisce moltissime metafore. E’ la cinta muraria di una città o di una fortezza, le strutture d’un edificio che connotano l’idea di separazione dall’esterno: ci si chiude e rintana tra le mura, si è impediti di avanzare agevolmente da un muro di nebbia o di acqua, da mani alzate oltre la rete, da un muro d’indifferenza. Se cerchi “muro” su Google esce un sito di ultrà.

2. Mi svegliai una mattina ed ero di cemento. Sopra di me camminava uno scarafaggio. Che schifo. Feci per allontanarlo, ma muoversi rappresentava una notevole difficoltà. Anche bere il caffè che mi portò mia moglie si dimostrò una divertente impresa. Mi ritrovai a desiderare non le dita, non l’ugola, ma uno stencil a forma di uomo. Mia moglie mi disse, confusa: dentro di noi i muri si chiamano ventricoli, pleure, peritonei, fasce muscolari, vene, uteri morbidi. Il nostro sangue non conosce la via del labirinto e ne muore impazzito. Sapete, mia moglie è un medico. Le chiesi di star zitta e di farmi lo stencil, prima che qualche disgraziato in preda agli ormoni e al disagio m’incatramasse addosso una poesia. La mattina seguente mi accorsi con disappunto che ero rimasto di cemento.

3. Il muro si prende tutti i proiettili che non colpiscono il condannato a morte. Aveva vissuto quel muro, lui, ed il suo affresco antico, fin dalla prima infanzia. Da bambino lo sorpassava sulla destra correndo e se lo lasciava alle spalle; all'ora di cena se lo ritrovava sulla sinistra. Diede il primo bacio, davanti al muro, mentre gli antichi volti dipinti lo scrutavano senza severità. Anni dopo barcollò ubriaco numerose volte, nella notte, e spesso finì a pisciare proprio contro il muro, ma sempre guardandosi bene dall'insozzare la parte ancora visibile dell'affresco. Quando arrivò l'esercito, e lui si trovò dalla parte sbagliata, lo portarono a morire guardacaso esattamente davanti al muro. Provò a spiegare che no, non avrebbero dovuto ammazzarlo lì davanti; che l'ammazzassero pure come un cane, diceva ma che non colpissero anche il muro e l'affresco! Gli risposero spaccandogli denti e mandibole col calcio del fucile. Poi lo afferrarono. Il gruaduato ordinò secco di caricare, puntare, fuoco!; lui si lanciò contro i proiettili pregando di fermarli tutti col corpo. A me, pensava, colpitemi pure, ma per Dio!, lasciate stare il mio muro!

4. Il paradiso è micidiale, mi hanno detto. Soltanto, è essenziale poter morire giovani, altrimenti si viene sistemati per sempre in case di eterno riposo e dopo qualche milione di anni nessun cruciverba risulterebbe più insoluto. Il paradiso non ha muri che separano vecchi guardoni e liceali leucemiche: le ragazze che fanno l’amore al piano di sopra le vedi nell’aria che si puntellano sui gomiti appoggiate ad un mucchietto di vento. Esamini i loro corpi da prospettive terrestramente impensabili e vergognose. I muri e le ragazze del paradiso sono superfici tutte solchi e bugnati, protuberanze e fessure pruriginose che svolazzano, odorando del sudore di bambine. Sulla terra non è così per tutti i muri nè per tutte le ragazze. La mia ragazza è una liscissima e gelata lastra di marmo bianco, e io mi ci schianto senza successo, ogni notte. Per i vecchi, poi, è ugualmente dramma: ospizi, primiere, settimane enigmistiche. Il mio vicino di casa, il signor Rovati, non potrà mai alzare lo sguardo dal suo lavabo e osservare ragazze che danzano insieme alle nuvole. Proprio no. Al più, riesce a spiare una vicina da dietro le veneziane. Oppure si fa gli occhi appuntiti e cattura con lo sguardo bambine che giocano contro un muro. Talvolta, appoggia l’orecchio alla parete per ascoltare i sospiri di una studentessa di lettere. Non voglio riposare per l’eternità, voglio morire giovane e fare l’amore danzando sopra le nuvole.

5. Ci si può abituare a trovare di tutto sui muri: facce sebacee di politici, corpi nudi indossati da vestiti, addirittura poesie. Ma quel giorno su quel muro campeggiava qualcos’altro: un medaglione color carne a forma di biscotto. In un primo momento non lo notò nessuno. Forse era solo una cicca masticata da un ragazzino. Eppure no. Era altro. Guardandolo da vicino, rivelava una piccola costellazione di bollicine. E poi, inequivocabilmente, luccicava quando il sole passava ad accarezzarlo. Dopo dozzine di sguardi indifferenti, l’evento era maturato abbastanza per essere riconoscibile anche ad occhi meno esperti: quel giorno, su quel muro, campeggiavano le vescicole inebetite di un herpes labiale. Se ne accorse per primo un liceale avvezzo al fenomeno. Il muro fu ammantato da un’aura miracolosa in men che non si dica. La gente intraprese l’antico lavoro dello stupore, i preti cominciarono a firmare smentite, gli scienziati allestirono le dovute indagini virologiche. Ma nessuno si soffermò abbastanza sulla bellezza di quel muro: nessuno coglieva la morbidezza del suo intonaco levigato e muscoloso, la sua intrinseca dolcezza e la sua dedizione al dovere, quale esso fosse. Come si poteva capire l’amore per un muro? Non sarebbero bastate le telecamere a circuito chiuso, né dieci testimoni oculari, per comprendere il bacio notturno che una ragazza ventenne aveva regalato al muro qualche notte prima. Nessuno la notò passare, quel giorno, nessuno notò l’analogia tra il fenomeno straordinario e il piccolo cammeo che le imperlava il labbro inferiore.

6. I muri sfidano l’immaginazione e la morbosa curiosità dei vecchi, degli adolescenti, dei poeti e degli architetti. “Bello, potente, alto… ma cosa ci sarà dietro?” “Colorato, sinuoso, poetico… sì, ma cosa ci sarà dietro?”. L’immaginazione e la curiosità si dimostrano davvero povere, a volte. La vera domanda che val la pena porsi è: “Cosa c’è dentro ai muri?”. Cosa ne giustifica lo spessore? I tunnel in cui serpeggiano fili in cui serpeggiano elettroni. I forami immensi dei mattoni in cui uno scarafaggio consuma l’orrore del suo pasto di spazzatura. Oltretutto, chi ci dice che l’interno dei muri sia buio? Magari le barre d’acciaio del cemento armato luccicano come occhi felini, in certe notti particolarmente ispirate. Ogni muro può essere un potenziale cimitero: i muri più resistenti sono quelli che contengono femori o ricordi di zanne. Ma non bisogna essere per forza tetri: magari i muri sono semplicemente vuoti, e fanno da cassa di risonanza ai respiri e ai miagolii che popolano la notte. Per ascoltarli sotto la coltre chiassosa del giorno, si necessita di un orecchio sensibile e affinato. Un muro completamente pieno di luce può essere a tutti gli effetti considerato un vetro, ma qui ci addentriamo in discorsi spirituali di livello forse troppo elevato. Alla fine, lasciatemi solo la convinzione che nel tufo mastodontico di una chiesa romanica si distendano i prati di Shangri-la.

7. I muri non hanno madri e risultano figli di muratori, di politici illustri, di preti benedicenti oppure di guerriglieri. I muri sono spesso degli alleati affidabili: essi possiedono orecchie invisibili e casse di risonanza; tuttavia, non hanno il concetto di ricordo, non sono in grado di emettere alcun suono. Quando ci si addentra per vie fitte di scritte ed insegne, l’occhio non vede cose, ma figure di cose che significano altre cose; il muro ripete le condanna che tiene appesa al collo con ossessività, come addosso alle sbarre ritte di una prigione. Quando di notte piove e le strade sono deserte, ogni sillaba è recitata allo spasimo senza nessuno che tenda l’orecchio in ascolto. Di giorno, il muro viaggia rasente alle persone sognando città completamente interrate, con stanze ripiene di argilla fino al soffitto e abitanti che camminano per le strade scavando cunicoli come vermi. Non esisterebbe più alcun muro nei suoi sogni, a tracciare un trapezio d’ombra che nasconda qualcuno dalla luce del giorno o dalle occhiate delle persone. I luoghi sarebbero deserti.

8. Quella del muro-poeta è una leggenda metropolitana che andrebbe ormai screditata, anche se è innegabile il fascino della sua storia ed è difficile trovare elementi razionali che la smontino del tutto. Per quanto invisibili possano essere mani e pennelli e colla, le poesie che si agitano sulla maggior parte dei muri sono quasi certamente di fattura umana, ne riflettono la sensibilità e l’imperfezione. Ma i versi che s’imprimono sul muro-poeta hanno delle peculiarità. Non stencil, non fogli crespi: le lettere si scavano direttamente nell’intonaco, durante la notte. Scrive in distici di endecasillabi limpidi e a volte ingenui, e la tradizione vuole che ognuno legga sul muro-poeta i versi di cui ha bisogno: la donna che rincasa dal lavoro (la bellezza mi passeggia davanti, / indossa un tailleur di stanchezza e rughe), l’impiegato vessato (la forza che gonfia i petti e gli oceani / è nel coraggio d’affrontare il giorno), il muro di fronte (l’ombra del lampione sulla tua pelle / è lo stelo che ha per petalo il cielo). Non avendo prove sufficienti per dimostrarne l’inconsistenza, releghiamo il muro-poeta al catalogo di esseri immaginari utile alla fisiologia della nostra mente. I versi di cui si tramanda memoria sono in realtà i versi che ognuno, nel suo quotidiano, decide di farsi recitare dal muro-poeta della propria strada.

9. La poesia d’amuro ha bisogno di muri.