La città innamorata


Una città innamorata ha serrande rosso
fuoco,
cieli che lampeggiano e istanti di vuoto,
le piazze intontite di luce,
le altalene a pendolo come clessidre.
La città è continua nel tempo
un seme che ripete se stesso,
che apre le gambe ad uno stadio rissoso:
l’ovazione del gol e un palazzo che cade.
Che cosa occorre ad una città innamorata?
Qualche lamentela sull’ultimo taglio di
lingua,
le edicole riaperte per ferirsi le dita
affilando un foglio di scandali,
le monete del resto precise.
La città si ripara da estati di tormento
corrompendo i novanta soli dell’una
con ghiaccioli azzurrini:
non potranno concimare sudore le tette
e nel dubbio se ombre o basalti
si riparerà la zanzariera bucata
per proibire alle stelle il salotto.
I gatti si straziano fino ad un filo
di voce, si azzuffano gomitoli di gatto:
non l’avrai mai questa luna sui tetti
nè la città innamorata con serrande di fuoco.
La città è continua nel tempo
e ride se non l’ascolti, ti osserva
mentre tendi l’orecchio
e gli occhi
socchiusi guardano in alto.
Non l’avrai
mai senza allontanarti
o sprofondare nelle parole
vecchie dei caffè,
dentro ai tubi
gommosi delle pompe di benzina:
per possederla occorre mirare alla luna
oppure diventare semaforo, cassonetto,
abbaio,
striscia pedonale.